GIUSEPPE NOVELLO

Nasce il 7 luglio 1897 a Codogno, nella bassa pianura lodigiana, terra di fertili campi, di limpide acque e di Alpini di razza. Studia presso il Regio Liceo Berchet di Milano, città dove ha modo di frequentare lo studio dello zio materno, l’affermato pittore Giorgio Belloni, e di mettere in mostra una innata propensione per il disegno.

Per assecondare le aspettative del padre Eugenio, direttore di banca, nel 1915 si iscrive alla facoltà di giurisprudenza dell’università di Pavia dove si laureò con una tesi sui diritti d’autore nelle arti figurative.
Partecipa alla grande guerra sugli altipiani combattendo con la 46ª compagnia del battaglione Tirano, meritando col grado di sottotenente una medaglia d’argento e una di bronzo al V.M. Congedato nel 1919 è a Milano dove frequenta l’Accademia delle Belle Arti di Brera e concorre alla fondazione della nostra Associazione.
Nel 1919 partecipa per la prima volta ad una mostra collettiva e vince il concorso Fumagalli con l’opera “Interno Borghese”. Si afferma per le sue vignette che interpretano con garbato umorismo le vicende quotidiane, i vizi e le virtù del mondo piccolo borghese contemporaneo.
Nel 1925, l’appena nato il periodico “L’Alpino” pubblica i suoi disegni umoristici che illustrano con sottile ironia aspetti della “naia” Alpina.
Nella redazione de “L’Alpino” nasce la sua amicizia col giornalista e scrittore Paolo Monelli (quello de “Le Scarpe al Sole”) che gli propone una collaborazione concretizzatasi nel volume di vignette e racconti “La guerra è bella ma scomoda” (Ed. Treves – 1929).
Il consenso a questa pubblicazione contribuirà a renderlo famoso e a far conoscere ed amare gli Alpini a tanti italiani.
È ancora Monelli ad introdurlo al “Cenacolo Milanese” di via Bagutta ove incontra, tra gli altri intellettuali ed artisti, Orio Vergani, Riccardo Bacchelli e Mario Vellani Marchi.
Negli anni trenta Mondadori pubblica le sue vignette in due volumi “Il signore di buona famiglia” (1934) e “Che cosa dirà la gente” (1937). Fra le due guerre l’interesse dell’artista per la pittura è sempre vivo: partecipa a quasi tutte le principali Mostre e Gallerie d’Arte Italiane, alle esposizioni della Permanente di Milano, e ad alcune Biennali Veneziane dove vince, nell’edizione del 1940, il concorso per il ritratto con “Ritratto Estivo”.

Nel 1942 il capitano Giuseppe Novello indossa di nuovo la divisa e parte col 5° Alpini della Tridentina per il fronte russo, dove prenderà parte alla tragica ritirata del nostro corpo di spedizione guadagnando un’altra medaglia d’Argento al V.M. Rientrato in Italia nel marzo 1943, è fatto prigioniero dai tedeschi il 9 settembre a Fortezza e viene trasferito dapprima al campo di concentramento per ufficiali italiani di Czestochova, in Polonia e quindi nei lager di Benjaminovo, Sandbostel e Wietzendorf, dove incontrerà e farà amicizia con lo scrittore Giovanni Guareschi. Avendo rifiutato ogni forma di collaborazione col rinato fascismo, ritornerà in patria soltanto alla fine d’agosto del 1945.
Porta con sé una serie di vignette disegnate su ogni pezzo di carta disponibile che, insieme a quelle della campagna di Russia, riunisce in un nuovo volume “Steppa e gabbia”. Mondadori torna a pubblicare le sue vignette in fortunate raccolte: “Dunque dicevamo” (1950), “Sempre più difficile” (1957), “Resti tra noi” (1967). Dal 1948 al 1965 le sue vignette compaiono ogni settimana sulla terza pagina de “La Stampa”.

Frequentatore assiduo della nostra sede in via Vincenzo Monti (il suo studio era in Foro Bonaparte), nell’inverno dal 1953 decide con Riosa e Vellani Marchi, come lui pittori ed Alpini, di dare una “ripulita” alle pareti della sede, dando vita agli splendidi “graffiti” di naia alpina che tutt’ora le ornano e che noi conserviamo con orgoglio.

Amico di don Carlo Gnocchi, fa parte del comitato che raccoglie i fondi per l’allestimento del sarcofago in granito della Valcamonica, ove il 3 aprile 1960 saranno traslati i resti di don Carlo.

Dalla fine degli anni sessanta si dedica prevalentemente alla pittura. Alcuni dei suoi quadri più apprezzati sono esposti al museo di Codogno che ha contribuito a riordinare.
Come disse Vitaliano Peduzzi: “Novello non usa mai l’asprezza del sarcasmo, che non gli è per nulla congeniale, ma è ricchissimo e prodigo di benevola ironia sui piccoli difetti, manie, atteggiamenti della gente per bene di tutti i giorni, a cominciare da sé stesso, ha un’ironia che include solidarietà con la persona presa di mira”.

Indro Montanelli disse dell’opera di Novello, del quale fu estimatore ed amico: “Non c’è, in tutta questa galleria, figura che le persone della mia età non abbiano conosciuto; non c’è scenetta alla quale non abbia assistito. Un mondo morto, dirà qualcuno. Certo. Ma anche quello in cui mi piace continuare a vivere”.

Fino all’ultimo mantenne uno spirito brillante e autoironico. Pochi mesi prima di morire, ringraziando un amico che gli aveva inviato gli auguri per il suo 90° compleanno, scriveva: “Grazie per avere salutato l’arrivo improvviso dei miei novantanni, arrivo che – ti giuro – mi ero ben guardato dal sollecitare”.
Nel 1984 il Comune di Milano gli conferisce la medaglia d’oro di benemerenza.

Quando Giuseppe Novello è andato avanti, Giulio Bedeschi lo ha così commemorato: “Fu un grande Alpino. Modesto. Coraggioso. Un soldato. Un artista. Un galantuomo. Un signore. Intelligente. Generoso. Di grande rigore morale. Un carattere. Una figura d’uomo forse irrepetibile. Un preciso, essenziale punto di riferimento nella grande tradizione alpina”.
Muore nella sua casa di Codogno il 2 febbraio 1988.

testo di Giuseppe Semprini

Ed ecco le motivazioni delle Medaglie al Valor Militare di Giuseppe Novello.

Novello Giuseppe, aspirante ufficiale del 5° Reggimento Alpini
Medaglia d’argento al Valor Militare
Alla testa del proprio plotone nell’assalto di una forte posizione, per primo piombava di sorpresa sull’avversario sgominandolo e ponendolo in fuga. Incurante del pericolo, ritto sulla trincea che rapidamente aveva organizzato a difesa, ributtava col proprio reparto i ripetuti contrattacchi nemici, perseverando nella strenua difesa della posizione, anche quando, quasi completamente aggirato, poteva essere tratto a ritenere inutile ogni ulteriore resistenza.
Col d’Echele, 28 gennaio 1918

Novello Giuseppe, sottotenente di complemento del 5° Reggimento Alpini
Medaglia di bronzo al Valor Militare
Comandante di una sezione lanciafiamme, per quanto non richiesto della propria opera, si portava si portava con due apparecchi alla testa del reparto operante e con esso arditamente si lanciava all’assalto, rincuorando con la voce e con l’esempio i soldati, che attaccando volgevano il nemico in fuga precipitosa.
Canal (Piave), 31 ottobre 1918

Novello Giuseppe, capitano di complemento del 5° Reggimento Alpini
Medaglia d’argento al Valor Militare
Ufficiale addetto all’assistenza presso un reggimento alpino sul fronte russo, partecipava volontariamente ad un duro combattimento e, alla testa di un manipolo di alpini appoggiato da carri armati, attaccava munitissime posizioni nemiche, dando esempio di grande valore e di elevato spirito combattivo.
Nikolajewka (fronte russo), 26 gennaio 1943

Chiudiamo questa scheda con il ricordo di Giuseppe Novello scritto da Vitaliano Peduzzi e pubblicato a pagina 10 del numero 1 del 1988 di “Veci e Bocia”.
Sorridiamo ancora insieme
Nel numero di dicembre (del 1987, ndr) di «Veci e Bocia» abbiamo festeggiato con una bella pagina i 90 anni di Giuseppe Novello. Magari lui ci direbbe «Ma che bravi, avete fatto appena appena in tempo… ». Ma non si può commemorare Giuseppe Novello anche se i dati anagrafici recano: 7 luglio 1897 – 2 febbraio 1988. Non si può anzitutto perché lui, sentendosi «Monumentato» in una commemorazione, si metterebbe a ridere con quel suo riso piano, schietto, innocente. E poi perché vorrebbe dire riconoscere la scomparsa. Sì, è scomparso il corpo di Giuseppe Novello, ma ogni volta che riguarderemo uno dei suoi disegni, che ricorderemo una delle sue battute folgoranti – compresa quella del «murì a temp …» lui sarà lì vivo e vispo, volto roseo e occhi azzurri, con un sorriso sui quale guizzano il diavoletto della felice ironia ed insieme la cordialità della simpatia.
Perché Novello non usa mai l’asprezza del sarcasmo, che non gli è per nulla congeniale, ma è ricchissimo e prodigo di benevola ironia – sui piccoli difetti, manie, atteggiamenti della gente per bene di tutti i giorni, a cominciare da se stesso – ma un’ironia che include sempre solidarietà con la persona presa di mira.
Prima e seconda guerra mondiale negli Alpini (Alpino di razza), lager tedesco, pluridecorato al valore, fondatore dell’Associazione nazionale alpini nel 1919, c’è di che darsi un tono. Novello invece ci scherzava. Fioriscono quei gioielli che sono gli album di disegni: «La guerra è bella ma scomoda», con il testo di Paolo Monelli; «Il signore di buona famiglia»; «Che cosa dirà la gente? »; «Dunque dicevamo»; «Sempre più difficile», dedicati ad un’Italia piena di piccole manie, di complessi, di difetti, di ritrosie, di paura di far brutta figura; ma un’Italia per bene. Poi l’album drammatico «Steppa e gabbia», sulla campagna di Russia e la prigionia nel lager. Ma dal 1968, salvo qualche rara occasione e per accontentare l’Ass. Naz. Alpini (di cui era orgogliosissimo) non volle più disegnare. «È un mondo nel quale non mi ritrovo» mi disse un giorno nel suo studio di piazza Castello. E si dedicò al suo primo amore, la pittura, per la quale aveva – appena laureato in legge – rinnegato giocondamente la toga. Fu tra gli animatori di quel cenacolo di intelligenze e spesso di spirito che si riuniva a Bagutta, fu inflessibile loggionista alla Scala. Ma il suo punto di ritorno – guerre, mostre, viaggi – fu fedelmente sempre la antica casa di Codogno, dove trepidavano per lui la carissima sorella Lotti e le ammirevoli nipoti.
A parlare di Novello si potrebbe andare avanti per delle ore, proprio come a parlare con lui. Ho avuto l’incarico di intervistarlo più di una volta, ed ogni volta finiva in ore ed ore di piacevolissima arguta conversazione, e sempre ogni volta io restavo incantato da due qualità di Novello, che sembrerebbero inconciliabili e che in lui convivevano benissimo: il candore totale e la capacità fulminea di cogliere in ogni cosa, in ogni fatto un dettaglio ironico-comico. Sono questi aspetti della sua personalità che spiegano perché fosse nato un così forte legame fra lui e don Carlo Gnocchi e Giovanni Guareschi, uomini limpidi come lui davanti a Dio.
Quando, nell’ottobre 1984, gli fu conferita dal Comune di Milano l’alta distinzione di annoverarlo fra «le persone che hanno fatto grande Milano», proprio nel locale dell’Alemagna fra via Manzoni e via Croce Rossa, dove si svolgeva la cerimonia ufficiale, Novello mormorò con noi, con un incantevole brillio negli occhi «Credete che starebbe bene un biglietto da visita così – Giuseppe Novello, persona che ha fatto grande Milano-?» Era tutto lui.
No, amici, non si può commemorarlo col muso lungo. Novello ha arricchito la cultura italiana e l’animo di tutti quelli che l’hanno conosciuto. Continua a vivere così, con il suo ineffabile sorriso.
Vitaliano Peduzzi