TERESIO OLIVELLI

Teresio Olivelli: un uomo, un alpino, un cattolico, un martire.

Teresio Olivelli nasce il 7 gennaio 1916 a Bellagio (Co) da una famiglia di Zeme, paese agricolo della Lomellina (Pv), che per motivi di lavoro si trasferisce sul lago di Como.
Dopo avervi trascorso la sua infanzia e aver frequentato le Elementari in Brianza, torna con la famiglia prima a Zeme e poi a Mortara (Pv) dove termina gli studi ginnasiali. Frequenta il Liceo a Vigevano per poi laurearsi in Legge con il massimo dei voti a Pavia.
La sua formazione giovanile è caratterizzata dalla profonda religiosità della madre e dello zio, arciprete a Tramezzo (Co) e dal Parroco di Mortara Mons. Daghera. Vive intensamente questi anni, come iscritto sia alla FUCI (Universitari Cattolici) che al GUF (Universitari Fascisti) frequentando e dando impulso all’azione Cattolica di Mortara e all’Ass.ne “Vincenzo De Paoli”. Durante il periodo universitario si distingue per l’intelligenza vivace ed esuberante: partecipa a molti sport eccellendo nell’alpinismo e nello sci.
La sua dialettica gli consente di vincere il Littoriale nel 1939 a Trieste: una gara indetta tra tutti gli universitari d’Italia, il massimo premio di cultura fascista.
Laureatosi, è nominato Assistente all’Università di Torino, per essere poi inserito all’INCF (Istituto Nazionale di Cultura Fascista), retto da Bottai, assumendo l’incarico di Primo Segretario Ufficio Studi e Legislazione presso il Direttorio del PNF.
Ma la Storia inarrestabile avanza: le leggi razziali, l’attacco inaspettato della Francia insinuano ombre nella convinzione di potere con il suo operato modificare gli eccessi della cultura fascista. Nonostante la preparazione del concorso di Rettore del Collegio Ghisleri, i mille motivi, le numerose opportunità per rimanere, il cattivo esito della Campagna di Russia lo induce a lasciare gli Uffici di Roma per partire volontario tra “i suoi alpini” perché lì ritiene essere più utile.

Impara il russo e il tedesco, conosce le sofferenze dei soldati, sfida l’arroganza dei tedeschi per instaurare con la gente del posto rapporti umani e caritatevoli. L’insufficienza dell’equipaggiamento e degli armamenti non smorzano in lui la speranza e l’entusiasmo che sa trasmettere ai suoi Alpini.
La disfatta, lo sbandamento, il ripiegamento… li vive in prima persona. Si attarda per aiutare i feriti e rimane isolato. Il suo reparto, la 31 Batteria del Gruppo Bergamo della Tridentina è catturato, lui separato, si unisce a una gruppo di militari che con le slitte trasferivano dei feriti.
Passa per Nickolajevka, percorre 600 Km. a piedi annettendo altri feriti, senza perdere dignità e speranza. È conforto per i malati, è guida per i conducenti, è stalliere per i muli. Fa rispettare i suoi feriti ai tedeschi, li difende dai partigiani russi, riesce a procurare ricovero per dormire trovando cibo e speranza per ognuno, dimenticando se stesso.
Riesce a recuperare le nostre linee… e dopo la riorganizzazione, gli sono affidati i quadrupedi da riportare, a piedi, per altri 800 Km. sino alle retrovie italo- tedesche.
Viene inviato in contumacia in Friuli, e il tempo che scorre lo aiuta a meditare: l’esperienza russa gli fa capire quanto fosse disastrosa per l’Italia l’esperienza della 2^ Guerra Mondiale.
Tuttavia il suo senso di Patria è intatto: il reparto è ricostituito, i ranghi sono serrati, alla nomina a Rettore dell’Istituto Ghislieri di Pavia, nel frattempo notificata, preferisce i “suoi Alpini”.
Ma un’altra prova lo attende: dalla fine di luglio i tedeschi stanno ammassando truppe in Italia ed il suo reparto è inizialmente indirizzato a Monfalcone (punto strategico sotto Gorizia sulla strada per Trieste e l’Istria) e poi in Alto Adige.

L’8 settembre si abbatte su di loro lasciandoli preda disorientata e umiliata, eppure la dignità è intatta: l’intero reparto si rifiuta di passare tra le file dei filo-nazisti e Olivelli viene deportato in Austria.
Fugge tre volte, l’ultima da Salisburgo a Pontebba (Ud), percorrendo a piedi circa 400 Km, in novembre, attraversando i Tauri e le Alpi.
Si ferma a Udine ospite di amici di compagni di prigionia. Torna non per sfuggire ai pericoli ma per essere utile al futuro d’Italia. Sotto falso nome da Udine si reca a Milano e a Brescia tra i Partigiani Cattolici.
Si presenta semplicemente… dicendo: “se posso essere utile”.
In poco tempo diventa ispiratore e guida dei Partigiani Cattolici di Brescia, coordinatore dei vari nuclei sparsi per la Pianura Padana, da Cremona a Pavia, da Mantova a Brescia, a Milano, sino a Como e Lecco.
La sua preoccupazione era quella di creare un movimento che desse dignità all’Italia, attraverso l’attenzione al popolo, alla gente, professando un cambiamento che prima di tutto doveva avvenire nelle singole coscienze, alla ricerca della giustizia e dell’amore, senza odio verso gli oppressori, il suo motto… “non esistono liberatori, ma solo uomini che si liberano”.
Fonda un notiziario cattolico, “Il Ribelle”, che procura non poco fastidio al Governo della R.S.I.

Braccato, è catturato a causa della defezione di un partigiano arrestato. Si aprono le porte del carcere di San Vittore dove testimonia integerrima figura di uomo e di cattolico: perdona ufficialmente il delatore, porta la preghiera in carcere dove era proibita, rifiuta l’interessamento di chi potrebbe aiutarlo. Fornisce un esempio di dignità come uomo e come Italiano.

Deportato al campo di Fossoli, scampa all’eccidio dei 70 nascondendosi in un tombino. Tenta la fuga ma viene catturato e deportato in Germania, prima al Campo di Gries a Bolzano, successivamente a Flossenburg ed infine a Hersbruck.

Durante la prigionia il nostro Olivelli non perde occasione di testimoniare l’altruismo e l’amore per il prossimo, si prodiga per alleviare le sofferenze e per curare i malati, per difendere i prigionieri più deboli, si priva del suo cibo per donarlo ad altri. Anche qui, grazie alle sue doti, potrebbe defilarsi, sopravvivere, ma accetta il proprio destino, sacrificando se stesso nel momento in cui lo vede compiersi. Nel difendere un compagno più debole viene ucciso dai colpi di un Kapò.
Era il 17 gennaio 1945.

Nel 1953 gli è stata conferita la Medaglia d’Oro al Valore Militare.
Questo è il testo dell’atto del conferimento:

OLIVELLI Teresio
Sottotenente di cpl. – Artiglieria Alpina – Partigiano combattente
Luogo di nascita: Bellagio (CO)
Data del conferimento: 1945
Alla memoria
Motivo del conferimento

Ufficiale di complemento già distintosi al fronte russo, evadeva arditamente da un campo di concentramento dove i tedeschi lo avevano ristretto dopo l’armistizio, perché mantenutosi fedele. Nell’ organizzazione partigiana lombarda si faceva vivamente apprezzare per illimitata dedizione ed indomito coraggio dimostrati nelle più difficili e pericolose circostanze. Rendeva eminenti servizi anche nel campo informativo ed in quello della propaganda. Tratto in arresto a Milano e barbaramente interrogato dai tedeschi, manteneva fra le torture esemplare contegno nulla rivelando. Internato a Fossoli tentava la fuga. Veniva, così, trasferito prima a Dakau poi a Herzbruk. Dopo lunghi mesi di inaudite sofferenze trovava ancora, nella sua generosità, la forza di slanciarsi in difesa di un compagno di prigionia bestialmente percosso da un aguzzino. Gli faceva scudo del proprio corpo e moriva sotto i colpi. Nobile esempio di fedeltà, di umanità, di dedizione alla Patria.
Lombardia – Venezia Tridentina – Germania, settembre 1943 – primi giorni del mese di marzo 1945.

Teresio Olivelli in ventinove anni aveva organizzato l’Azione Cattolica a Mortara, era stato vincitore del Littorio, era il più giovane Rettore nella Storia degli Atenei Italiani, era stato amico di Bottai, di Padre Gemelli, di persone influenti nel Partito Fascista e di politici tedeschi. Poi la terribile Campagna di Russia, l’8 settembre, le tre fughe, la costituzione della Resistenza Cattolica a Brescia, la redazione del giornale “Il Ribelle”, l’arresto, le torture, la deportazione in campi di lavoro orientati alla morte dei prigionieri.
È con l’amore Cristiano e la Carità sconfinata che solo una Fede profonda e una grande personalità potevano alimentare, che Olivelli conduce le sue battaglie alla ricerca del bene della Patria.
Al termine della guerra, la personalità di Teresio Olivelli forse è stata mal interpretata a causa del suo ruolo nel partito fascista e per la sua successiva militanza attiva tra le fila dei partigiani, ma questo non ha minimamente offuscato il suo valore di uomo generoso, con numerose azioni volte al rispetto ed alla difesa del prossimo ed un profondo amore per la Patria.

Il Gruppo di Vigevano, supportato dalla Sezione di Milano, ha a suo tempo promosso in uno con l’Azione Cattolica la causa di beatificazione.
Il 29 marzo 1987 si è così aperto il processo per la sua beatificazione, il quale è tuttora in corso presso la Curia Vescovile di Vigevano.

In molte altre Città parlano di lui come del “loro” Teresio Olivelli ed è giusto, perché durante la sua seppur breve vita, ha vissuto in parecchie città, trasmettendo a gente di diversa cultura quei valori che hanno caratterizzato il suo cammino, diventando fonte di ispirazione e modello comportamentale per tutti, soprattutto per noi Alpini che dovremo testimoniare che il suo sacrificio non è stato inutile e che finché ci saranno Alpini ci sarà dignità e amore.
…Adesso tocca a noi!